La notizia è ormai sui feed di tutti: le opere di Roald Dahl, celebre scrittore britannico, saranno rielaborate in linea con la sensibilità ed inclusione del nostro tempo. Parole come “grasso” e “brutto” saranno eliminate, termini come “madre” e “padre” saranno sostituiti da “genitori” e così via.
“Ma è giusta questa censura?”
Ecco le parole di Roald Dahl in persona durante una conversazione avuta con Francis Bacon nel 1982 “Ho avvertito i miei editori che se cambieranno anche solo una virgola in uno dei miei libri, non vedranno mai più una mia parola. Mai! Mai!”
Come studio di comunicazione ci siamo arrovellati il Gulliver davanti a una buona tazza di latte+ (che arrivati ad una certa età associamo di più al latte artificiale da dare ai nostri figli che a quello del Korova Milk Bar ma tant’è) e ci siamo chiesti: cosa diavolo è appena successo? È il modo giusto di tutelare le minoranze?
Amiamo le parole: le rispettiamo, diamo loro valori e pesi che nemmeno un powerlifter al massimo della forma, sappiamo che possono esse fero o possono esse piuma. Le parole sono piccoli sassi lanciati in placidi specchi d’acqua: quando cadono sulla superficie producono minuscole, quasi impercettibili onde che muovendosi influenzano tutto ciò che hanno intorno. Producono cambiamento, sono il carburante delle azioni, toccano ogni angolo del mondo e del nostro pensiero.
Appurato ciò: era davvero necessario censurarne alcune dei libri del nostro amato Roald Dahl?
Come scrisse Wittgenstein (se non lo conoscete vi invitiamo a farlo che con tutta sta rivoluzione dell’AI, chatgìppìtì e varie ha molto ha che fare) in conclusione del suo famoso Tractactus: “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”.
Che non si legge come “Se untullo sai fai più bella figura a chetarti” (siamo uno studio di Design di Firenze, vi ricordo) ma anzi, invita il lettore a tracciare un limite del mondo partendo proprio da ciò che può essere detto. Le parole che non rappresentano fatti appartengono alla sfera dei concetti, stanno da un’altra parte proprio.
Nella cultura del “fluid”, non dimentichiamoci che lo strumento più fluido che abbiamo sono appunto le parole, il cui significato muta in rapporto alle funzioni specifiche cui sono riferite.
La nostra idea della parola “casa” è sicuramente diversa dalla vostra e così la vostra sarà diversa da quella di una delle Kardashian. Ma se ci trovassimo tutti (noi, voi e una Kardashian) in uno stesso contesto argomentando, chessò, riguardo la casa di Anna Frank ecco che piano piano nella nostra mente la parola prenderebbe forme sempre più simili. E più saremo bravi a descrivere funzionalmente la casa di Anna Frank, più l’immagine tenderà ad essere identica.
Ecco che il contesto è stato fondamentale per delineare i confini del nostro mondo e dare un significato preciso, funzionale alla parola “casa” ed ecco che diventa chiaro che le parole, senza contesto, decadono da ogni potenza, perdono ogni significato fino ad implodere nel mondo del no-sense.
Perché non contestualizzare quindi Roald Dahl? Ma sopratutto: siamo forse giunti in quel momento delle storia dell’uomo dove tutto scorre così veloce e così veloce viene dimenticato che non abbiamo tempo neanche di contestualizzare un’informazione? Una parola?
Il nostro studio creativo si trova vicino all’Esselunga, ogni tanto compriamo il pranzo lì. L’altro giorno abbiamo deciso di comprare gli ovini Kinder, come quando eravamo bambini. Un bell’ovino dall’anima al latte con una bellissima sorpresa da montare.
Siamo quindi tornati in ufficio, abbiamo mangiato i nostri pranzi insoliti (un giorno racconteremo pubblicamente della pasta alla sottiletta di Giulia), aperto gli ovini e con estremo rammarico scoperto che nessuna sorpresa è più da montare, son tutte già fatte. L’unico impegno richiesto è quello di appicciare un adesivo. Basta, fine. Nessuna magia, nessuna tartaruga con nome insolito, nessuna istruzione, solo un misero adesivo da appicciare dritto sulla carena di una sorta di astronave già costruita (che poi si sa, puntualmente viene appiccicato storto in quell’angolino in alto a destra e quindi ti viene il dubbio se staccarlo tutto rischiando di rovinare la tua vita oppure lasciarlo così, sapendo di non poter mai più essere perfetto).
Ma cosa c’entra tutta questa mega digressione col discorso di prima? C’entra eccome e se non l’avete ancora capito ecco che forse siete stati anche voi vittima del contesto.
Siamo esseri umani, per natura tendiamo a impegnarci in un continuo superamento dei nostri limiti, nella piena realizzazione di noi stessi e degli altri. Siamo in grado di studiare situazioni complesse, capirne il senso e non solo il significato, analizzare contesti e rispondere di conseguenza.
Non siamo Chatgìpìttì, per noi le parole non sono numeri ma abissi. Quindi perchè togliere le istruzioni della sorpresa dell’ovino Kinder e lasciarci con le cose già fatte? Perché usare il poke flauto sul Bob aggiustatutto che è in noi? Perché non darci fiducia e lasciare che le parole di Roald Dahl vengano contestualizzate, spiegate, capite e ci portino a viaggiare tra Grandi Giganti Gentili, ascensori di cristallo e occhi di vetro degli Sporcelli.
Perché è mescolando in giuste proporzioni parole finite e infinite che veramente riusciremo a cambiare il mondo, non cancellandole.
Lo diceva pure Roald Dahl, alla fine: “Non è con un torto che dobbiamo far valere il nostro diritto. Se no è un diritto storto“ dal libro Le streghe
La notizia è ormai sui feed di tutti: le opere di Roald Dahl, celebre scrittore britannico, saranno rielaborate in linea con la sensibilità ed inclusione del nostro tempo. Parole come “grasso” e “brutto” saranno eliminate, termini come “madre” e “padre” saranno sostituiti da “genitori” e così via.
“Ma è giusta questa censura?”
Ecco le parole di Roald Dahl in persona durante una conversazione avuta con Francis Bacon nel 1982 “Ho avvertito i miei editori che se cambieranno anche solo una virgola in uno dei miei libri, non vedranno mai più una mia parola. Mai! Mai!”
Come studio di comunicazione ci siamo arrovellati il Gulliver davanti a una buona tazza di latte+ (che arrivati ad una certa età associamo di più al latte artificiale da dare ai nostri figli che a quello del Korova Milk Bar ma tant’è) e ci siamo chiesti: cosa diavolo è appena successo? È il modo giusto di tutelare le minoranze?
Amiamo le parole: le rispettiamo, diamo loro valori e pesi che nemmeno un powerlifter al massimo della forma, sappiamo che possono esse fero o possono esse piuma. Le parole sono piccoli sassi lanciati in placidi specchi d’acqua: quando cadono sulla superficie producono minuscole, quasi impercettibili onde che muovendosi influenzano tutto ciò che hanno intorno. Producono cambiamento, sono il carburante delle azioni, toccano ogni angolo del mondo e del nostro pensiero.
Appurato ciò: era davvero necessario censurarne alcune dei libri del nostro amato Roald Dahl?
Come scrisse Wittgenstein (se non lo conoscete vi invitiamo a farlo che con tutta sta rivoluzione dell’AI, chatgìppìtì e varie ha molto ha che fare) in conclusione del suo famoso Tractactus: “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”.
Che non si legge come “Se untullo sai fai più bella figura a chetarti” (siamo uno studio di Design di Firenze, vi ricordo) ma anzi, invita il lettore a tracciare un limite del mondo partendo proprio da ciò che può essere detto. Le parole che non rappresentano fatti appartengono alla sfera dei concetti, stanno da un’altra parte proprio.
Nella cultura del “fluid”, non dimentichiamoci che lo strumento più fluido che abbiamo sono appunto le parole, il cui significato muta in rapporto alle funzioni specifiche cui sono riferite.
La nostra idea della parola “casa” è sicuramente diversa dalla vostra e così la vostra sarà diversa da quella di una delle Kardashian. Ma se ci trovassimo tutti (noi, voi e una Kardashian) in uno stesso contesto argomentando, chessò, riguardo la casa di Anna Frank ecco che piano piano nella nostra mente la parola prenderebbe forme sempre più simili. E più saremo bravi a descrivere funzionalmente la casa di Anna Frank, più l’immagine tenderà ad essere identica.
Ecco che il contesto è stato fondamentale per delineare i confini del nostro mondo e dare un significato preciso, funzionale alla parola “casa” ed ecco che diventa chiaro che le parole, senza contesto, decadono da ogni potenza, perdono ogni significato fino ad implodere nel mondo del no-sense.
Perché non contestualizzare quindi Roald Dahl? Ma sopratutto: siamo forse giunti in quel momento delle storia dell’uomo dove tutto scorre così veloce e così veloce viene dimenticato che non abbiamo tempo neanche di contestualizzare un’informazione? Una parola?
Il nostro studio creativo si trova vicino all’Esselunga, ogni tanto compriamo il pranzo lì. L’altro giorno abbiamo deciso di comprare gli ovini Kinder, come quando eravamo bambini. Un bell’ovino dall’anima al latte con una bellissima sorpresa da montare.
Siamo quindi tornati in ufficio, abbiamo mangiato i nostri pranzi insoliti (un giorno racconteremo pubblicamente della pasta alla sottiletta di Giulia), aperto gli ovini e con estremo rammarico scoperto che nessuna sorpresa è più da montare, son tutte già fatte. L’unico impegno richiesto è quello di appicciare un adesivo. Basta, fine. Nessuna magia, nessuna tartaruga con nome insolito, nessuna istruzione, solo un misero adesivo da appicciare dritto sulla carena di una sorta di astronave già costruita (che poi si sa, puntualmente viene appiccicato storto in quell’angolino in alto a destra e quindi ti viene il dubbio se staccarlo tutto rischiando di rovinare la tua vita oppure lasciarlo così, sapendo di non poter mai più essere perfetto).
Ma cosa c’entra tutta questa mega digressione col discorso di prima? C’entra eccome e se non l’avete ancora capito ecco che forse siete stati anche voi vittima del contesto.
Siamo esseri umani, per natura tendiamo a impegnarci in un continuo superamento dei nostri limiti, nella piena realizzazione di noi stessi e degli altri. Siamo in grado di studiare situazioni complesse, capirne il senso e non solo il significato, analizzare contesti e rispondere di conseguenza.
Non siamo Chatgìpìttì, per noi le parole non sono numeri ma abissi. Quindi perchè togliere le istruzioni della sorpresa dell’ovino Kinder e lasciarci con le cose già fatte? Perché usare il poke flauto sul Bob aggiustatutto che è in noi? Perché non darci fiducia e lasciare che le parole di Roald Dahl vengano contestualizzate, spiegate, capite e ci portino a viaggiare tra Grandi Giganti Gentili, ascensori di cristallo e occhi di vetro degli Sporcelli.
Perché è mescolando in giuste proporzioni parole finite e infinite che veramente riusciremo a cambiare il mondo, non cancellandole.
Lo diceva pure Roald Dahl, alla fine: “Non è con un torto che dobbiamo far valere il nostro diritto. Se no è un diritto storto“ dal libro Le streghe
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