Tutti a parlare di Instagram, likes e caroselli: ma chi pensa a noi povere agenzie creative? Chi pensa a chi ogni giorno, con la minuzia e cura di un amanuense, ha l’incarico di sfornare post da hit? Perché è un peso eh. Avoglia a spiegare al cliente che i numeri che contano sono altri, che non sono i likes ma è come si usano ma gniente: ci sarà sempre qualcuno che, con la brama di vanità di un pavone a una sfilata di moda, ti scriverà il messaggino delle 00:12 con frasi del tipo “bene oggi, ma domani spacchiamo eh?”.
“Lo smartphone è un po’ come un’arma. E allora se esiste il porto d’armi, perchè non fare quello per il digitale?”
Ma noi siamo qui per istruire alla fine, il digitale l’anderebbe (come dicevano i nostri nonni) insegnato a scuola. Come l’inglese. Perché pensateci: lo smartphone ce l’avete sempre lì, in tasca. Pronto.
Non sai come funzionano i Social? Mi dispiace, non puoi utilizzarli. Sennò tuttifai male (si vede che i nostri nonni erano fiorentini, eh?) e puoi fare male anche agli altri. Perché non basta un selfie per vedersi, bisogna riconoscersi.
Siamo bombardati di immagini, video, reels: la soglia di attenzione media si è abbassata a 7 secondi. Vi rendete conto? Questo vuol dire che chi è arrivato fino a questo punto dell’articolo è un eroe (vi invitiamo a commentare se ci siete riusciti, vi meritate una consulenza gratuita!). Tendiamo a sfornare contenuti giorno dopo giorno, ora dopo ora: ma siamo davvero sicuri che quello che pubblichiamo ci rappresenti davvero? Raccontiamo la nostra storia oppure pubblichiamo storie?
Scriveva Carlo Brogi in un trattato sul ritratto fotografico pubblicitario del 1896 a Firenze “Il ritratto fotografico è anche un mezzo di tutela della società civile contro gli individui pericolosi, poiché si può formare il loro censimento grafico, e la loro fisionomia, riprodotta in molte copie, può essere segnalata quando si renda necessaria la cattura” Lo sappiamo, è un pensiero anacronistico. La fisiognomica è pseudoscienza, i più si ricorderanno Lombroso ma è dai tempi di Aristotele che se ne parla. E oggi? Con l’avvento dei selfies?
La fotografia mostra la verità del volto o ne è solo una sua rappresentazione?
Scrolliamo feed, restiamo incantati dalla velocità di Tik Tok ed ecco che, di 7 secondi in 7 secondi, abbiamo giudicato un volto, una posa, un outfit. Una persona. Ed è un giudizio irreversibile perchè vittima, appunto, di fisiognomica digitale. Siamo controllati e controllori in un panottico digitale.
Come fare quindi per riconoscersi ancora? Lo si fa imparando che la comunicazione che funziona ha a che fare con il concetto di identità e non con quello di identico, con l’avere degli ideali decisi e non aver deciso degli ideali, con la sorpresa e non l’indifferenza: la comunicazione che funziona tende a distruggere, per poi ricostruire.
Lo si fa, oppure possiamo decidere di affidarci a chi ogni giorno, con la minuzia e cura di un amanuense, ha l’incarico di sfornare post da hit.
Ti aspettiamo a Slum.
Tutti a parlare di Instagram, likes e caroselli: ma chi pensa a noi povere agenzie creative? Chi pensa a chi ogni giorno, con la minuzia e cura di un amanuense, ha l’incarico di sfornare post da hit? Perché è un peso eh. Avoglia a spiegare al cliente che i numeri che contano sono altri, che non sono i likes ma è come si usano ma gniente: ci sarà sempre qualcuno che, con la brama di vanità di un pavone a una sfilata di moda, ti scriverà il messaggino delle 00:12 con frasi del tipo “bene oggi, ma domani spacchiamo eh?”.
“Lo smartphone è un po’ come un’arma. E allora se esiste il porto d’armi, perchè non fare quello per il digitale?”
Ma noi siamo qui per istruire alla fine, il digitale l’anderebbe (come dicevano i nostri nonni) insegnato a scuola. Come l’inglese. Perché pensateci: lo smartphone ce l’avete sempre lì, in tasca. Pronto.
Non sai come funzionano i Social? Mi dispiace, non puoi utilizzarli. Sennò tuttifai male (si vede che i nostri nonni erano fiorentini, eh?) e puoi fare male anche agli altri. Perché non basta un selfie per vedersi, bisogna riconoscersi.
Siamo bombardati di immagini, video, reels: la soglia di attenzione media si è abbassata a 7 secondi. Vi rendete conto? Questo vuol dire che chi è arrivato fino a questo punto dell’articolo è un eroe (vi invitiamo a commentare se ci siete riusciti, vi meritate una consulenza gratuita!). Tendiamo a sfornare contenuti giorno dopo giorno, ora dopo ora: ma siamo davvero sicuri che quello che pubblichiamo ci rappresenti davvero? Raccontiamo la nostra storia oppure pubblichiamo storie?
Scriveva Carlo Brogi in un trattato sul ritratto fotografico pubblicitario del 1896 a Firenze “Il ritratto fotografico è anche un mezzo di tutela della società civile contro gli individui pericolosi, poiché si può formare il loro censimento grafico, e la loro fisionomia, riprodotta in molte copie, può essere segnalata quando si renda necessaria la cattura” Lo sappiamo, è un pensiero anacronistico. La fisiognomica è pseudoscienza, i più si ricorderanno Lombroso ma è dai tempi di Aristotele che se ne parla. E oggi? Con l’avvento dei selfies?
La fotografia mostra la verità del volto o ne è solo una sua rappresentazione?
Scrolliamo feed, restiamo incantati dalla velocità di Tik Tok ed ecco che, di 7 secondi in 7 secondi, abbiamo giudicato un volto, una posa, un outfit. Una persona. Ed è un giudizio irreversibile perchè vittima, appunto, di fisiognomica digitale. Siamo controllati e controllori in un panottico digitale.
Come fare quindi per riconoscersi ancora? Lo si fa imparando che la comunicazione che funziona ha a che fare con il concetto di identità e non con quello di identico, con l’avere degli ideali decisi e non aver deciso degli ideali, con la sorpresa e non l’indifferenza: la comunicazione che funziona tende a distruggere, per poi ricostruire.
Lo si fa, oppure possiamo decidere di affidarci a chi ogni giorno, con la minuzia e cura di un amanuense, ha l’incarico di sfornare post da hit.
Ti aspettiamo a Slum.
Analisi di un selfie: una storia di Instagram e vanità.
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